Commercializzazione di prodotti extra UE con additivi non consentiti.
Quesito: Se qualcuno commercializza sul territorio italiano prodotti extra UE riportanti in etichetta additivi non consentiti dalla normativa europea, in quali reati potrebbe incorrere?
Risponde l'avvocato Stefano Senatore.
La disciplina degli additivi alimentari, armonizzata a livello europeo, trova la sua fonte principale nel regolamento (CE) 1333/2008, il cui articolo 3 definisce tali prodotti come “qualsiasi sostanza abitualmente non consumata come alimento in sé e non utilizzata come ingrediente caratteristico di alimenti, con o senza valore nutritivo, la cui aggiunta intenzionale ad alimenti per uno scopo tecnologico nella fabbricazione, nella trasformazione, nella preparazione, nel trattamento, nell’imballaggio, nel trasporto o nel magazzinaggio degli stessi, abbia o possa presumibilmente avere per effetto che la sostanza o i suoi sottoprodotti diventino, direttamente o indirettamente, componenti di tali alimenti”.
Lo stesso regolamento riporta, nell’allegato II, l’elenco unionale degli additivi autorizzati negli alimenti e, nell’allegato III, l’elenco unionale degli additivi alimentari di cui si autorizza l’uso negli additivi alimentari, negli enzimi alimentari, negli aromi alimentari e nei nutrienti. I suddetti elenchi sono predisposti ed aggiornati dalla Commissione, all’esito di una valutazione della sicurezza delle sostanze che trova la sua disciplina nel regolamento (CE) 1331/2008.
Gli elenchi dell’Unione rappresentano il parametro di riferimento per stabilire quali additivi siano commercializzabili ed utilizzabili come ingredienti alimentari nel territorio europeo, come previsto dall’articolo 4 del regolamento (CE) 1333/2008, secondo il quale:
- soltanto gli additivi alimentari inclusi nell’elenco dell’allegato II possono essere immessi sul mercato in quanto tali e utilizzati negli alimenti, nel rispetto delle condizioni d’impiego ivi specificate.
- soltanto gli additivi alimentari inclusi nell’elenco dell’allegato III possono essere utilizzati negli additivi alimentari, negli enzimi alimentari e negli aromatizzanti alimentari, in conformità alle condizioni d’impiego ivi specificate.
Il successivo articolo 5 precisa, inoltre, che non possono essere immessi sul mercato [1] né additivi alimentari, né alimenti nei quali siano presenti additivi alimentari, qualora l’impiego degli additivi non sia avvenuto nel pieno rispetto delle disposizioni del regolamento.
Tale divieto di immissione sul mercato di prodotti non conformi – in mancanza di esplicite esenzioni – deve ritenersi applicabile anche agli additivi ed alimenti importati da Paesi terzi. Ciò, anche in considerazione del principio generale stabilito dall’articolo 11 del regolamento (CE) 178/2002, in base al quale gli alimenti e i mangimi importati nell’Unione per esservi immessi sul mercato devono rispettare le pertinenti disposizioni della legislazione alimentare.
Ad avviso dello scrivente, l’operatore che si renda responsabile della violazione del suddetto divieto, commercializzando in Italia alimenti importati contenenti additivi non autorizzati, si espone quindi a possibili conseguenze sanzionatorie di natura penale.
La fattispecie di reato più ricorrente in tali ipotesi, in particolare, è la contravvenzione prevista dall’articolo 5, lettera g) della legge n. 283/1962, che vieta di “impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari (…) g) con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati (…)” (si vedano, ad esempio, Cassazione penale, sez. III, ud. 03/03/2020, dep. 20/04/2020, n. 12532, e Cassazione penale, sez. III, ud. 04/06/2019, dep. 28/08/2019, n. 36471) [2].
Come previsto dal successivo articolo 6 della legge, tale reato è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da € 309 ad € 30.987.
Si segnala peraltro che la medesima violazione – dando luogo alla commercializzazione di prodotti potenzialmente pericolosi per la salute – è stata anche ricondotta, in taluni casi, al più grave delitto di cui all’articolo 444 del codice penale (commercio di sostanze alimentari nocive). La citata disposizione punisce, infatti, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 51, “chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all'alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica” (un precedente giurisprudenziale in tal senso può ricavarsi dalla sentenza della Cassazione penale, sez. I, ud. 10/11/2017, dep. 26/01/2018, n. 3842).
[Articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 9/2022, Filo diretto con l'esperto]
NOTE:
[1] La definizione di “immissione sul mercato” è stabilita dall’articolo 3, punto 8) del regolamento (CE) 178/2002 – al quale l’articolo 3 del regolamento (CE) 1333/2008 fa esplicito rinvio – e consiste ne “la detenzione di alimenti o mangimi a scopo di vendita, comprese l'offerta di vendita o ogni altra forma, gratuita o a pagamento, di cessione, nonché la vendita stessa, la distribuzione e le altre forme di cessione propriamente detta”.
[2] Si precisa che, nel caso prospettato nel quesito, non si ritiene possa operare l’esclusione di responsabilità a favore del commerciante prevista dall’articolo 19 della legge (“le sanzioni previste dalla presente legge non si applicano al commerciante che vende, pone in vendita o comunque distribuisce per il consumo prodotti in confezioni originali, qualora la non corrispondenza alle prescrizioni della legge stessa riguardi i requisiti intrinseci o la composizione dei prodotti o le condizioni interne dei recipienti e sempre che il commerciante non sia a conoscenza della violazione o la confezione originale non presenti segni di alterazione”).
Infatti – anche a voler prescindere dall’obbligo di verifica della conformità dei prodotti importati, che la giurisprudenza tende a porre a carico di tutti i soggetti importatori – è dirimente notare che, nel caso in esame, la presenza dell’additivo non autorizzato deve ritenersi nota al commerciante, essendo espressamente segnalata nell’etichettatura.