Puzzone di Moena: al nome del prodotto si deve affiancare la sigla "DOP"?
Quesito: Un supermercato che vende il formaggio Puzzone di Moena DOP sul banco per la vendita assistita e preincartato su quello a libero servizio ha l’obbligo di scrivere DOP sul cartello di vendita e sull’etichetta di vendita a libero servizio? Qual è la normativa di riferimento e a quanto ammonta la sanzione?
Risponde l'avvocato Stefano Senatore
I nomi “Puzzone di Moena” e, in lingua ladina, “Spretz Tzaorì” identificano una denominazione di origine protetta (DOP) registrata ai sensi del regolamento (UE) 1151/2012, il cui uso è riservato ai formaggi che rispondono a tutti i requisiti definiti nel relativo disciplinare di produzione (pubblicato sull’apposita sezione del sito del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, alla pagina https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/15453).
Il citato disciplinare, per quanto qui rileva, prevede anche specifiche regole per l’etichettatura, stabilendo all’articolo 8 che «il formaggio può essere venduto a forma intera o porzionato; in ogni caso, all’emissione al consumo le forme intere, le confezioni, nelle varie tipologie, dovranno riportare la dicitura D.O.P. “Puzzone di Moena / Spretz Tzaorì” oppure una delle due separatamente “Puzzone di Moena” DOP o “Spretz Tzaorì” DOP, il numero o codice di riferimento del caseificio produttore, il lotto di produzione e l’eventuale indicazione della tipologia “stagionato” e/o “di malga”, in quest’ultimo caso solo se ottenuto esclusivamente con latte di bovini in alpeggio».
Ad avviso di chi scrive, tale disposizione dovrebbe essere interpretata nel senso di rendere obbligatoria, oltre all’indicazione del nome registrato “Puzzone di Moena” e/o “Spretz Tzaorì”, anche l’indicazione della sigla “DOP”, che viene sempre affiancata, nel testo, al nome del prodotto (introducendo, così, una deroga rispetto alle regole generali di etichettatura dei prodotti a DOP – stabilite dall’articolo 12 del regolamento (UE) 1151/2012 – secondo le quali la dicitura “Denominazione di origine protetta” e l’abbreviazione “DOP” rappresentano mere indicazioni facoltative).
Premesso ciò, è opportuno chiarire che le prescrizioni di etichettatura contenute nel disciplinare sono oggetto di verifica sul prodotto finito prima della sua immissione sul mercato, nell’ambito dei controlli svolti dall’Organismo incaricato della certificazione (CSQA Certificazioni Srl), che opera secondo le modalità stabilite dal relativo Piano dei controlli.
Tuttavia, lo scrivente ritiene che i medesimi requisiti di etichettatura possano trovare applicazione anche per le fasi di commercializzazione successive alla conclusione dell’iter certificativo, ivi compresa la vendita diretta al consumatore finale. Al riguardo, occorre infatti considerare che:
- da un lato, in via generale, l’articolo 12 del regolamento (UE) 1151/2012 impone di commercializzare come denominazioni protette solo prodotti conformi al relativo disciplinare;
- d’altro lato, con specifico riferimento al Puzzone di Moena, l’articolo 8 del disciplinare di produzione, nello stabilire gli obblighi di etichettatura, non contempla alcuna esplicita deroga per tali attività di vendita diretta.
In relazione al caso prospettato nel quesito, si consiglia quindi all’operatore che gestisce il supermercato – quanto meno precauzionalmente – di includere una delle seguenti diciture nell’ambito delle informazioni sul prodotto fornite ai consumatori: “Puzzone di Moena / Spretz Tzaorì DOP”, “Puzzone di Moena DOP” o “Spretz Tzaorì DOP”.
In particolare, per quanto riguarda i formaggi imballati presso il banco del punto vendita dietro richiesta del consumatore, si ritiene che l’indicazione possa essere fornita con le modalità indicate dall’articolo 19 del decreto legislativo n. 231/2017 per la vendita degli alimenti non preimballati, ossia, mediante “apposito cartello applicato ai recipienti che li contengono oppure di altro sistema equivalente, anche digitale, facilmente accessibile e riconoscibile, presente nei comparti in cui sono esposti”.
Diversamente, per i prodotti confezionati presso l’esercizio commerciale per la vendita diretta a libero servizio, considerato che l’articolo 19 fa “salve le prescrizioni stabilite in materia dai disciplinari di produzione per i prodotti DOP e IGP”, sarebbe preferibile riportare la dicitura direttamente sulla singola confezione, come richiesto dall’articolo 8 del disciplinare di produzione.
Da ultimo, si rileva che, laddove venisse contestata la violazione degli obblighi innanzi illustrati – e ferma restando la possibilità dell’operatore di difendersi nelle sedi competenti, considerata la peculiarità della fattispecie, sulla quale non si rinviene alcun precedente giurisprudenziale – la sanzione potenzialmente applicabile dovrebbe essere quella contemplata dall’articolo 2, comma 3 del decreto legislativo 297/2004. Tale disposizione, nello specifico, stabilisce che “salva l'applicazione delle norme penali vigenti, chiunque … utilizza le indicazioni non conformi a quanto indicato nei disciplinari di produzione della denominazione protetta e nelle relative disposizioni applicative … è sottoposto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro tremila ad euro ventimila”.
[Articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 8/2022, Filo diretto con l'esperto]