Rintracciabilità a monte e a valle e rintracciabilità interna.
Quesito: Un operatore acquista materie prime da un fornitore e le utilizza per produrre pane e dolci confezionati, che poi vende ai suoi clienti.
È obbligato ad avere una scheda su cui registrare i lotti degli ingredienti in ingresso delle varie preparazioni?
È possibile indicare nel Piano di Autocontrollo che la tracciabilità a monte e a valle è effettuata stilando un elenco aggiornato di fornitori e clienti, che una copia dei documenti di trasporto in ingresso e in uscita viene conservata per un periodo “proporzionale” alla data di scadenza dei prodotti messi in commercio e che in caso di allerta e richiamo si procede al ritiro di tutta la produzione relativa al periodo in cui gli ingredienti incriminati sono stati presenti in azienda?
Risponde l'avvocato Stefano Senatore
Gli obblighi di rintracciabilità dei prodotti alimentari sono disciplinati, in via generale e salvo eventuali disposizioni settoriali, dall’articolo 18 del regolamento (CE) n. 178/2002, in base al quale gli operatori del settore alimentare (Osa) devono:
- essere in grado di individuare il soggetto che abbia fornito loro un alimento e qualsiasi sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento, implementando sistemi e di procedure che consentano di mettere a disposizione delle autorità competenti le relative informazioni (rintracciabilità a monte);
- disporre di sistemi e procedure per individuare le imprese alle quali abbiano fornito i propri prodotti, mettendo tali informazioni a disposizione delle autorità competenti che le richiedano (rintracciabilità a valle).
Gli adempimenti richiesti agli Osa sono stati, poi, definiti con maggior dettaglio all’interno delle “Linee guida ai fini della rintracciabilità degli alimenti e dei mangimi per fini di sanità pubblica”, adottate dalla Conferenza Stato-Regioni con accordo rep. 2334 del 28 luglio 2005.
Secondo tale documento, in particolare, i sistemi di rintracciabilità devono essere tali da permettere di fornire tutte le seguenti informazioni:
- natura e quantità dei prodotti ricevuti;
- nome e recapito dei fornitori;
- indicazioni ai fini dell’identificazione dei prodotti ricevuti, comprensive almeno della denominazione, del lotto e della data di ricevimento);
- natura e quantità dei prodotti commercializzati;
- nome e recapito dei clienti;
- indicazioni ai fini dell’identificazione dei prodotti commercializzati (lotto, data di consegna, modalità o mezzi di distribuzione).
La normativa innanzi citata non prevede, dunque, alcun obbligo di garantire un collegamento tra i prodotti in entrata e quelli in uscita dallo stabilimento (la cosiddetta “rintracciabilità interna”).
Quanto sopra ha trovato, peraltro, espressa conferma sia nel documento-guida adottato dal Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali del 26 gennaio 2010, denominato “Orientamenti sull’attuazione degli articoli 11, 12, 14, 17, 18, 19 e 20 del Regolamento (CE) n. 178/2002” (v. sezione III.3.2, paragrafo ii), sia nelle citate “Linee guida” del 28 luglio 2005 della Conferenza Stato-Regioni (v. articoli 5 ed 8). In entrambi i suddetti documenti viene, infatti, ribadita la natura volontaria dei sistemi di “rintracciabilità interna”.
Lo scrivente ritiene quindi di poter concludere che gli Osa, per soddisfare i requisiti generali di rintracciabilità, non siano tenuti a seguire il flusso degli alimenti in entrata nello stabilimento al fine di mantenere identificata la loro destinazione.
Fermi i precedenti rilievi, va comunque evidenziato che la rintracciabilità interna rappresenta, comunque, un obiettivo auspicabile ed opportuno, rendendo possibile un maggiore controllo del processo produttivo, una gestione mirata delle procedure di ritiro e richiamo degli alimenti a rischio, nonché una più adeguata gestione delle procedure di autocontrollo.
Infine, in merito ai tempi di conservazione dei documenti attraverso i quali vengono assolti gli obblighi di rintracciabilità a monte e a valle, non si rinvengono indicazioni vincolanti all’interno del regolamento (CE) 178/2002. Le citate “Linee guida” della Conferenza Stato-Regioni intervengono tuttavia sul punto, precisando che le informazioni e la documentazione dovrebbero essere tenuti a disposizione per i seguenti periodi:
- per 3 mesi in caso di prodotti freschi (tra cui i prodotti di panetteria, pasticceria ed ortofrutta);
- in caso di prodotti con indicazione di una data di scadenza, per i 6 mesi successivi a tale data;
- in caso di prodotti con indicazione del termine minimo di conservazione, per i 12 mesi successivi a tale data;
- in caso di prodotti privi di indicazioni di durabilità, per 2 anni (decorrenti, ad avviso dello scrivente, dalla loro data di consegna).
Ad ogni modo, per tutelarsi a fronte di eventuali contenziosi, lo scrivente consiglia di protrarre il tempo di conservazione della suddetta documentazione, attendendo, quanto meno, la scadenza del termine di prescrizione della responsabilità civile connessa ai contratti di acquisto e vendita dei prodotti, che l’articolo 2946 del codice civile identifica, in via generale, in 10 anni.
[Articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 5/2022, Filo diretto con l'esperto]