Una società di intermediazione commerciale all’ingrosso è una “impresa alimentare”.
Quesito: Una società acquista (dai produttori) e vende (ai supermercati) prodotti alimentari confezionati affidandone lo stoccaggio ed il trasporto ai clienti ad una ditta (con il quale sussiste un contratto) in possesso di depositi e mezzi per il trasporto ai clienti. Ovviamente le fatture di acquisto e vendita sono della società, ma materialmente la stessa non compie alcun passaggio, affidando gli stessi ad altra ditta, come suddetto. Quali sono in questo caso gli oneri in materia di autocontrollo alimentare (Haccp) in capo alla società? Possono essere identificati dei punti critici? O sono da definire solo dei prerequisiti come: verifica documentazione dei prodotti da parte dei produttori dai quali si acquista e verifica documentazione della ditta di stoccaggio e consegna prodotti ai clienti? Quali documenti sarebbe il caso di richiedere a questi? Il deposito deve fornire Scia sanitaria e documento autorizzativo dei veicoli per il trasporto? In caso di contenzioso con le autorità competenti, la responsabilità civile/penale ricade in capo alla società o alla ditta che effettua stoccaggio e trasporto?
Risponde l'avvocato Stefano Senatore.
Il regolamento (CE) n. 178/2002, all’articolo 2, stabilisce che per “impresa alimentare” deve intendersi “ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti”.
Pertanto, anche una società di intermediazione commerciale all’ingrosso, che acquista alimenti dai produttori e li rivende ai dettaglianti, pur senza entrare materialmente in possesso dei prodotti, va comunque qualificata come “impresa alimentare”, per il solo fatto di svolgere un’attività di distribuzione di alimenti.
Di conseguenza, tale impresa sarà soggetta, tra l’altro, agli obblighi di registrazione (notifica sanitaria) ai sensi dell’art. 6 del regolamento (CE) n. 852/2004, nonché di rintracciabilità e di ritiro/richiamo di cui agli articoli 18 e 19 del regolamento (CE) n. 178/2002.
Per altro verso, ad avviso di chi scrive, non possono trovare applicazione i requisiti generali e specifici in materia di igiene, essendo l’attività di intermediazione scollegata dall’effettiva presenza di prodotti alimentari e, quindi, non utilizzando alcuna struttura, locale o attrezzatura destinata agli alimenti ed al loro trasporto. Il che è stato, del resto, confermato anche dal Ministero della Salute con nota DGISAN 0041148-P-10/12/2012.
Per le medesime ragioni, l’intermediario senza deposito non dovrebbe essere tenuto a predisporre ed attuare le procedure basate sui principi del sistema HACCP, non svolgendo attività sulle quali poter condurre un’analisi dei pericoli e dei rischi connessi, applicare i requisiti di igiene ed identificare e gestire punti critici di controllo.
Va tuttavia chiarito che, mancando esplicite deroghe normative all’applicazione del sistema HACCP per la tipologia di attività in esame, si consiglia di rivolgersi preliminarmente all’Asl territorialmente competente per concordare ed ottenere un espresso provvedimento derogatorio.
In ogni caso, inoltre, ai fini dell’autocontrollo sarà opportuno gestire la scelta dei fornitori e delle imprese di stoccaggio e trasporto sulla base di una procedura documentata di qualificazione. In particolare, la valutazione di tali soggetti potrà avvenire, esemplificativamente:
- definendo accordi sulle specifiche fisiche, chimiche e microbiologiche dei prodotti acquistati;
- acquisendo copia dei piani di autocontrollo delle imprese;
- richiedendo il possesso di un sistema certificato di gestione della qualità̀;
- conducendo audit periodici presso le imprese.
Infine, per quanto riguarda le possibili conseguenze penali e civili per la violazione delle norme di igiene alimentare, si ritiene che il riparto delle responsabilità tra l’intermediario ed il trasportatore non possa prescindere da una valutazione caso per caso.
Ad ogni modo, in linea di massima appare relativamente improbabile che, sul piano penale, possano essere identificate responsabilità per reati in materia di igiene alimentare a carico di un mero intermediario, che non abbia avuto alcun collegamento materiale con il prodotto.
Diversamente, sul piano civile l’intermediario – in quanto acquirente e rivenditore degli alimenti – sarà soggetto, in linea di principio, alla disciplina generale sulla responsabilità del venditore, potendo, quindi, essere chiamato a rispondere per i danni che i suoi prodotti hanno arrecato agli acquirenti professionali ed ai consumatori finali. Salva, ovviamente, la possibilità di rivalersi nei confronti dei trasportatori ove le problematiche siano imputabili a questi ultimi.
[Articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 3/2021, Filo diretto con l'esperto, pp. 82-83]