Mensa aziendale e cibo da casa: le responsabilità del gestore e del datore di lavoro.

 

Quesito: In un’azienda provvista di mensa affidata ad un gestore esterno, alcuni dipendenti si portano il cibo da casa, utilizzando i vari condimenti e le posate che trovano nel locale. Nel caso in cui si verificassero delle problematiche, come ad esempio un’intossicazione alimentare, su chi ricadrebbe la colpa? Che responsabilità hanno l’azienda detentrice dei locali e il gestore esterno? Come deve essere gestita la situazione? Chi ha la responsabilità di valutare l’adeguatezza dei pasti che arrivano nei suddetti locali?

 

Risponde l'avvocato Stefano Senatore

 

La disciplina sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, contenuta nel decreto legislativo 81/2008, dedica alcune specifiche disposizioni al consumo di alimenti nell’ambito dell’attività lavorativa.

L’allegato IV del testo normativo, in particolare, definendo i requisiti degli ambienti di lavoro, al punto 1.11.2 prevede l’obbligo del datore di lavoro di destinare uno o più ambienti «ad uso di refettorio, muniti di sedili e di tavoli», per tutte le imprese in cui più di 30 dipendenti rimangono in azienda durante gli intervalli lavorativi. Tali refettori devono essere, peraltro, ben illuminati, aerati e riscaldati nella stagione fredda, nonché dotati di pavimento privo di polvere e di pareti intonacate ed imbiancate.

Il successivo punto 1.11.3 prescrive inoltre che – in ogni caso – ai lavoratori deve essere dato il mezzo di conservare in adatti posti fissi le loro vivande, di riscaldarle e di lavare i relativi recipienti.

Fermo restando il rispetto di tali obblighi minimali, il datore di lavoro può senz’altro decidere di sviluppare ulteriormente il refettorio con le modalità indicate nel quesito, affidando la gestione dei locali ad un operatore esterno, incaricato della fornitura di un servizio di ristorazione (mensa aziendale) e, al contempo, della messa a disposizione di condimenti
e posate per quei lavoratori che intendano consumare alimenti propri, portati da casa.

In questo caso, laddove un lavoratore lamenti un danno alla salute dopo aver consumato, presso il refettorio, il cibo portato da casa, sarà ragionevole presumere che il pregiudizio derivi dalle condizioni intrinseche di tali alimenti e, di conseguenza, in linea di principio, potrà escludersi una relativa responsabilità a carico del gestore della mensa e del datore di lavoro.

Tali soggetti, tuttavia, potranno eventualmente essere chiamati a rispondere qualora venga dimostrato che il danno sia riconducibile all’ambiente di lavoro. Il che si verificherà, in ipotesi, laddove la mensa abbia fornito condimenti pericolosi per la salute oppure il cibo portato da casa abbia subito una contaminazione a causa delle condizioni igieniche inadeguate dei locali o delle attrezzature aziendali, ad esempio delle posate, degli ambienti destinati alla conservazione dei prodotti o delle apparecchiature per il loro riscaldamento.

A fronte di una tale evenienza, infatti, potranno insorgere, innanzitutto, responsabilità di natura penale, a titolo esemplificativo, ai sensi dell’articolo 590 del Codice penale (lesioni personali colpose), dell’articolo 444 del Codice penale (commercio di sostanze alimentari nocive, che in taluni casi la giurisprudenza ha ritenuto applicabile anche all’attività di somministrazione), nonché dell’articolo 5, lettera d) della legge 283/1962 (impiego, detenzione, vendita o somministrazione di sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive). Ciò senza considerare le ulteriori, specifiche fattispecie di reato e di illecito amministravo direttamente previste dal decreto legislativo 81/2008.

A prescindere dai profili strettamente sanzionatori, gli operatori coinvolti saranno, comunque, esposti alle responsabilità di natura civilistica, contrattuale ed extracontrattuale, nei confronti dei lavoratori che agiscano per il risarcimento dei danni patiti.

Le conseguenze giuridiche sopra, sinteticamente, accennate interesseranno, tendenzialmente, il soggetto gestore della mensa aziendale, in quanto operatore del settore alimentare coinvolto, in via diretta, nella conduzione dell’impresa alimentare.

Non può tuttavia escludersi una concorrente responsabilità dello stesso datore di lavoro, in particolare ove possa essere imputata a quest’ultimo la violazione degli obblighi stabiliti, a suo carico, per la tutela della salute dei lavoratori, tra le cui fonti è utile segnalare:

  • l’articolo 2087 del Codice civile, in base al quale l’imprenditore è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro;
  • gli articoli 17 e 28 del decreto legislativo 81/2008, che pongono a carico del datore di lavoro l’obbligo, peraltro non delegabile, di valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori e la conseguente predisposizione del Documento di valutazione dei rischi (Dvr);
  • l’articolo 26 del medesimo decreto, secondo cui il datore di lavoro, in caso di affidamento, ad altre imprese, di servizi e forniture da eseguire all’interno dei locali dell’azienda, è tenuto, tra l’altro, a verificare l’idoneità tecnico-professionale dei soggetti da incaricare, a fornire a questi «dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività», nonché a garantire la cooperazione ed il coordinamento nell’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro.

In tal senso, del resto, la stessa Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 25922/2023, ha confermato la responsabilità civile di un datore di lavoro che aveva esternalizzato ad una ditta appaltatrice il servizio di mensa aziendale, ai sensi del già citato articolo 2087 del Codice civile, per i danni arrecati al dipendente a causa di una pietra rinvenuta in una delle pietanze servite durante il pasto.

Tanto precisato, sarà quindi opportuno che l’imprenditore tenga conto dei profili di responsabilità innanzi illustrati, laddove intenda affidare a terzi la gestione del refettorio aziendale presso il quale i lavoratori consumano anche pasti propri.

Di conseguenza il datore di lavoro – ferma restando la necessità di rispettare gli obblighi contemplati dal decreto legislativo 81/2008, inclusa l’accurata selezione del gestore – potrà contenere, ulteriormente, il rischio di conseguenze a proprio
carico definendo con attenzione i contenuti del contratto che verrà stipulato con il soggetto affidatario del servizio di mensa, in modo da includervi, a titolo esemplificativo:

  • la dettagliata attribuzione al gestore di ogni adempimento in materia igienico-sanitaria, incluse le funzioni di operatore del settore alimentare e la predisposizione ed attuazione del piano di autocontrollo conforme ai principi Haccp;
  • l’assunzione, da parte di quest’ultimo, di ogni responsabilità verso terzi correlata all’uso del refettorio;
  • ove possibile, un’esplicita delega di funzioni conforme ai requisiti stabiliti dall’articolo 16 del decreto legislativo n. 81/2008 e, quindi, tale da attribuire al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo connessi al locale-refettorio, nonché l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.

 

[Articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 7/2024, Filo diretto con l'esperto]