Carni suine trasformate e prodotti non preimballati, considerazioni sull’obbligo di indicazione della provenienza.

 

Quesito: In riferimento al decreto ministeriale del 6 agosto 2020 “Disposizioni per l’indicazione obbligatoria del luogo di provenienza nell’etichetta delle carni suine trasformate”, l’obbligo di indicazione sussiste anche per i preincartati sul luogo di vendita venduti a libero servizio, esposti nei banchi refrigerati?

 

Risponde l'avvocato Stefano Senatore

 

La disciplina italiana sulla provenienza dei prodotti da carne suina è stata introdotta dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (attuale Masaf) e dal Ministero dello Sviluppo economico (attuale Mimit), attraverso il decreto del 6 agosto 2020, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 settembre 2020.

Tale testo normativo, in particolare, assoggetta all’obbligo di indicazione della provenienza le seguenti categorie di prodotti trasformati e non trasformati, identificate dal suo articolo 2:

  1. le carni di ungulati domestici della specie suina macinate, che l’allegato I, punto 1.13 del regolamento (CE) 852/2004 definisce come le “carni disossate che sono state sottoposte a un'operazione di macinazione in frammenti e contengono meno dell'1 % di sale”;
  2. le carni suine separate meccanicamente, ossia, secondo la definizione dell’allegarto I, punto 1.14 del citato regolamento, i “prodotti ottenuti mediante rimozione della carne da ossa carnose dopo il disosso ... utilizzando mezzi meccanici che conducono alla perdita o modificazione della struttura muscolo-fibrosa”;
  3. le preparazioni di carni suine, categoria nella quale sono incluse tutte le “carni fresche, incluse le carni ridotte in frammenti, che hanno subito un'aggiunta di prodotti alimentari, condimenti o additivi o trattamenti non sufficienti a modificare la struttura muscolo- fibrosa interna della carne e ad eliminare quindi le caratteristiche delle carni fresche” (allegato I, punto 1.15);
  4. i prodotti a base di carne suina, quali “i prodotti trasformati risultanti dalla trasformazione di carne o dall'ulteriore trasformazione di tali prodotti trasformati in modo tale che la superficie di taglio permette di constatare la scomparsa delle caratteristiche delle carni fresche” (allegato I, punto 7.1).

In relazione a tali alimenti, gli articoli 3 e 4 impongono, quindi, di riportare “sull’etichetta nel campo visivo principale una serie di informazioni, concernenti i Paesi di nascita, di allevamento e di macellazione degli animali dai quali sono ottenute le carni (indicabili con i nomi dei singoli Paesi coinvolti oppure ricorrendo ai riferimenti generici “UE”, “extra UE” ed “UE o extra UE”).

La suddetta disciplina, per quanto concerne specificamente l’oggetto del quesito, non chiarisce tuttavia – quanto meno, in maniera esplicita – se il proprio campo di operatività sia circoscritto ai soli “alimenti preimballati [1] o se, diversamente, debba intendersi esteso anche agli alimenti non preimballati descritti dal lettore (consistenti in prodotti preconfezionati presso luogo in cui avviene la vendita diretta al consumatore finale).

Ferma restando tale ambiguità della formulazione normativa – che non rende obiettivamente possibile fornire una soluzione definitiva al quesito in esame – lo scrivente è, comunque, del parere che le disposizioni del decreto interministeriale del 6 agosto 2020 dovrebbero poter essere interpretate nel senso di escludere la loro applicabilità agli alimenti non preimballati.

Una tale posizione deriva, in primo luogo, dalla stessa terminologia utilizzata nel testo normativo, tipicamente associata alle modalità di presentazione degli alimenti preimballati. Si considerino, al riguardo, all’interno dell’articolo 2 del decreto:

  • da un lato, il riferimento all’obbligo di apporre le indicazioni sulla provenienza nell’“etichetta” dei prodotti, ossia, secondo la definizione dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera i) regolamento (UE) 1169/2011, in “qualunque marchio commerciale o di fabbrica, segno, immagine o altra rappresentazione grafica scritto, stampato, stampigliato, marchiato, impresso in rilievo o a impronta sull’imballaggio o sul contenitore di un alimento o che accompagna detto imballaggio o contenitore”;
  • d’altro lato, la prescrizione secondo cui le informazioni devono figurare nel “campo visivo principale”, che per l’articolo 2, paragrafo 2, lettera l) regolamento (UE) 1169/2011 consiste nel “campo visivo di un imballaggio più probabilmente esposto al primo sguardo del consumatore...”.

Manca dunque, nella disciplina ministeriale, qualsiasi riferimento ad eventuali modalità di fornitura delle informazioni per tutti quegli alimenti che, non rientrando nella categoria dei “preimballati”, possono recare le indicazioni obbligatorie tramite i canali previsti dall’articolo 19 del decreto legislativo n. 231/2017, ossia, mediante “apposito cartello ... oppure di altro sistema equivalente, anche digitale”. Con ciò, si può desumere che il quadro regolamentare in esame non abbia inteso prendere in considerazione i suddetti prodotti.

Un altro indice interpretativo rilevante, ad avviso di chi scrive, è rappresentato dall’articolo 3-bis del decreto-legge n. 135/2018, sulla base del quale è stato adottato il decreto interministeriale del 6 agosto 2020.

La citata disposizione di rango primario, difatti, riconduce espressamente gli obblighi nazionali di indicazione della provenienza alla previsione dell’articolo 39, paragrafo 2 del regolamento (UE) 1169/2011, il quale, a ben vedere, riguarda specificamente le prescrizioni introdotte dagli Stati membri per gli “alimenti preimballati”.

L’articolo 3-bis non contiene, invece, alcun rinvio all’articolo 44 del regolamento (UE) 1169/2011, avente ad oggetto le “disposizioni nazionali per gli alimenti non preimballati”, il che conferma l’interpretazione del decreto interministeriale nel senso della sua applicabilità ai soli alimenti preimballati.

Per concludere, si precisa che la normativa italiana introdotta nel 2020, pur presentandosi come regime “sperimentale” e temporaneo, con un periodo di applicazione limitato, originariamente, sino al 31 dicembre 2021, è stata in seguito prorogata di anno in anno:

  • prima, con il decreto 28 dicembre 2021, sino alla data del 31 dicembre 2022;
  • poi, con decreto del 21 dicembre 2022, sino alla data del 31 dicembre 2023;
  • in seguito, con decreto del 22 dicembre 2023, sino alla data del 31 dicembre 2024;

In continuità con tale modus operandi, il 23 dicembre 2024 è stato adottato il nuovo decreto interministeriale di proroga, operante sino al 31 dicembre 2025, successivamente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 35 del 12 febbraio scorso.

 

[Articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 5/2024, Filo diretto con l'esperto]



NOTE:

[1] L’articolo 2, paragrafo 2, lettera e) del regolamento (UE) 1169/2011 definisce “alimento preimballato” come “l’unità di vendita destinata a essere presentata come tale al consumatore finale e alle collettività, costituita da un alimento e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo tale che il contenuto non possa essere alterato senza aprire o cambiare l’imballaggio”. La stessa disposizione puntualizza, inoltre, che non sono considerati “alimento preimballato” gli “alimenti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta”.