Etanolo da fermentazione nei prodotti alimentari: obblighi informativi e limiti di legge.

 

Quesito: Avrei bisogno di un chiarimento sulla presenza, non dichiarata in etichetta, di etanolo negli alimenti. Esiste, ad esempio, un valore limite di tale sostanza nel cioccolato, che la contiene naturalmente?

 

Risponde l'avvocato Stefano Senatore.

 

L’alcol etilico (o etanolo) è un alcol che può essere presente negli alimenti sia in conseguenza delle attività fermentative condotte dai microrganismi (si pensi al vino o alla birra), sia per l’aggiunta intenzionale di tale sostanza nel corso del processo produttivo (ad esempio, quale ingrediente [1], supporto [2] o solvente da estrazione [3]).

Va precisato che solo l’etanolo aggiunto, tal quale, dall’operatore dovrà essere riportato nell’elenco degli ingredienti dell’alimento, conformemente agli obblighi generali di etichettatura stabiliti dall’articolo 9 del regolamento (UE) 1169/2011 (per gli alimenti preimballati) e dall’articolo 19 del decreto legislativo 231/2017 (per gli alimenti non preimballati). L’indicazione nell’elenco degli ingredienti potrà, peraltro, essere omessa ove ricorra una delle ipotesi di esenzione individuate dall’articolo 20 del regolamento (UE) 1169/2011 (come, esemplificativamente, l’utilizzo della sostanza quale coadiuvante tecnologico) [4].

Fermo quanto sopra, qualunque sia l’origine dell’alcol etilico (fermentativa o da aggiunta intenzionale), la sua presenza all’interno di una bevanda, tale da portare il contenuto di alcol in volume oltre l’1,2%, comporterà anche l’obbligo di indicazione del titolo alcolometrico volumico effettivo del prodotto, ai sensi degli articoli 9 e 19 già citati in precedenza.

In tali ipotesi, il contenuto di alcol in volume effettivamente presente nella bevanda – determinato a 20°C – dovrà necessariamente corrispondere al valore indicato nell’etichettatura, fatte salve:

  • le soglie di tolleranza connaturate allo specifico metodo di analisi utilizzato;
  • in aggiunta, le ulteriori soglie di tolleranza ammesse dall’allegato XII del regolamento (UE) 1169/2011 (variabili da ± 0,3% vol. a ± 1,5% vol., a seconda del tipo di bevanda) e, per i vini, dall’articolo 44 del regolamento delegato (UE) 2019/33 (variabili da ± 0,5% vol a ± 0,8% vol).

Per i prodotti alimentari diversi dalle bevande, invece, ad oggi non si rinviene nell’ordinamento alcuna norma generale che stabilisca né obblighi informativi sul contenuto di etanolo, né limiti massimi alla sua presenza.

Eventuali disposizioni al riguardo andranno, se del caso, ricercate nella normativa verticale stabilita per la specifica categoria merceologica di interesse, come il decreto ministeriale 13 luglio 1990, n. 312, concernente il trattamento con alcool etilico del pane speciale preconfezionato. Si puntualizza, ad ogni modo, che nessuna previsione in tal senso è nota allo scrivente in relazione ai prodotti di cacao e di cioccolato oggetto del quesito.

Gli operatori devono, comunque, tenere in considerazione i principi generali in materia di sicurezza alimentare e, in primo luogo, ai sensi dell’articolo 14 del regolamento (CE) 178/2002, il divieto di immissione sul mercato degli alimenti dannosi per la salute, identificati sulla base:

  1. dei probabili effetti immediati e/o a breve termine, e/o a lungo termine dell'alimento sulla salute di una persona che lo consuma, nonché sulla salute dei discendenti;
  2. dei probabili effetti tossici cumulativi di un alimento;
  3. della particolare sensibilità, sotto il profilo della salute, di una specifica categoria di consumatori, nel caso in cui l'alimento sia destinato ad essa.

Un’ulteriore disciplina che potrebbe, potenzialmente, assumere rilievo è quella del regolamento (CEE) 315/93, applicabile a tutti i “contaminanti” contenuti nei prodotti alimentari, categoria alla quale non sembra irragionevole ricondurre l’etanolo, quanto meno, qualora rappresenti un residuo dei processi fermentativi che si verifichino durante la trasformazione o lo stoccaggio del prodotto [5].

Al riguardo, l’articolo 2 del regolamento stabilisce, tra l’altro:

  • il divieto di commercializzare alimenti con contaminanti in quantitativi inaccettabili sotto l'aspetto della salute pubblica;
  • l’obbligo per gli operatori, in ogni caso, di mantenere i contaminanti ai livelli più bassi che si possono ragionevolmente ottenere attraverso buone pratiche.

In definitiva, ferma restando l’assenza di limiti legali alla presenza di etanolo da fermentazione, le disposizioni da ultimo citate fanno emergere comunque, ad avviso di chi scrive, la responsabilità degli operatori di garantire una corretta gestione, in autocontrollo, dei possibili pericoli correlati ad una presenza eccessiva di etanolo nei propri prodotti. Pericoli che potrebbero concretizzarsi, in particolare, quando gli alimenti siano destinati a categorie di consumatori maggiormente vulnerabili quali, esemplificativamente, bambini e donne durante la gravidanza.

 

[Articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 3/2023, Filo diretto con l'esperto]



NOTE:

[1] L’articolo 2, paragrafo 2, lettera f) del regolamento (UE) 1169/2011 definisce “ingrediente” “qualunque sostanza o prodotto, compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e qualunque costituente di un ingrediente composto utilizzato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se sotto forma modificata; i residui non sono considerati come ingredienti”.

[2] I ”supporti”, secondo la definizione dell’allegato I, punto 5 del regolamento (CE) 1333/2008, sono intesi come le “sostanze utilizzate per sciogliere, diluire, disperdere o altrimenti modificare fisicamente un additivo alimentare, un aroma, un enzima alimentare, un nutriente e/o altre sostanze aggiunte agli alimenti a scopo nutrizionale o fisiologico senza alterarne la funzione (e senza esercitare essi stessi alcun effetto tecnologico) allo scopo di facilitarne la manipolazione, l’applicazione o l’impiego”.

[3] I “solventi” sono definiti dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 64/1993, recante attuazione della direttiva 2009/32, come “qualsiasi sostanza atta a dissolvere un prodotto alimentare o qualsiasi componente di un prodotto alimentare, compresi gli agenti contaminanti presenti nel o sul prodotto alimentare”.

Per “solvente da estrazione” si intende invece “un solvente impiegato nel corso di un procedimento di estrazione durante la lavorazione di materie prime o di prodotti alimentari, di componenti o di ingredienti di questi prodotti, il quale è rimosso, ma può condurre alla presenza, non intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui o di derivati nel prodotto alimentare o nell'ingrediente”.

[4] L’articolo 20 del regolamento (UE) 1169/2011 stabilisce infatti che, fatto salvo l’obbligo di indicazione degli allergeni, “nell’elenco degli ingredienti non è richiesta la menzione dei seguenti costituenti di un alimento:

  1. i costituenti di un ingrediente che sono stati temporaneamente separati durante il processo di fabbricazione e successivamente reintrodotti in quantità non superiore alla proporzione iniziale;
  2. gli additivi e gli enzimi alimentari:
    • la cui presenza in un determinato alimento è dovuta unicamente al fatto che erano contenuti in uno o più ingredienti di tale alimento, conformemente al principio del trasferimento di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento (CE) n. 1333/2008, purché non svolgano una funzione tecnologica nel prodotto finito; oppure
    • che sono utilizzati come coadiuvanti tecnologici;
  3. i supporti e le sostanze che non sono additivi alimentari, ma sono utilizzati nello stesso modo e allo stesso scopo dei supporti e sono utilizzati nelle dosi strettamente necessarie;
  4. le sostanze che non sono additivi alimentari, ma sono utilizzate nello stesso modo e allo stesso scopo dei coadiuvanti tecnologici e sono ancora presenti nel prodotto finito, anche se in forma modificata;
  5. l’acqua:
    • quando è utilizzata, nel corso del processo di fabbricazione, solo per consentire la ricostituzione di un ingrediente utilizzato sotto forma concentrata o disidratata; o
    • nel caso di un liquido di copertura che non è normalmente consumato”.

[5] L’articolo 1 del regolamento (CEE) 315/93 definisce, infatti, come “contaminante”: “ogni sostanza non aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari, ma in essi presente quale residuo della produzione (compresi i trattamenti applicati alle colture e al bestiame e nella prassi della medicina veterinaria), della fabbricazione, della trasformazione, della preparazione, del trattamento, del condizionamento, dell'imballaggio, del trasporto o dello stoccaggio di tali prodotti, o in seguito alla contaminazione dovuta all'ambiente. I corpi estranei quali, ad esempio, frantumi di insetti, peli di animali e altri non rientrano nella presente definizione”.