Utilizzo di bottiglie d’olio di oliva vergine ed extravergine “rabboccate” nelle mense aziendali.

 

Quesito: In una mensa aziendale si possono utilizzare, nella somministrazione, bottiglie d'olio che vengono rabboccate? Ossia, il gestore può acquistare olio in lattina e poi versarlo nelle bottiglie che vengono poste ai tavoli?

 

Risponde l'avvocato Stefano Senatore.

 

La presentazione degli oli di oliva vergini ed extravergini nell’ambito dei servizi di somministrazione di alimenti e bevande è soggetta, in Italia, alla specifica disciplina prevista dall’articolo 7, comma 2 della legge 9/2013.

Secondo tale disposizione, i suddetti oli, ove proposti in confezioni nei pubblici esercizi per usi diversi da quelli di cucina e di preparazione dei pasti, devono soddisfare tutti i seguenti requisiti:

  • essere presentati in contenitori etichettati conformemente alla normativa vigente;
  • essere forniti di idoneo dispositivo di chiusura in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata;
  • essere provvisti di un sistema di protezione che non ne permetta il riutilizzo dopo l'esaurimento del contenuto originale indicato nell'etichetta.

Il sistema di chiusura delle confezioni di olio deve, pertanto, possedere le caratteristiche del cosiddetto “tappo anti-rabbocco”, le quali, stando alle indicazioni fornite con la nota interministeriale del 15 dicembre 2014 [1], possono ritenersi soddisfatte qualora il tappo:

  • impedisca un nuovo riempimento della confezione e, comunque, una modifica del contenuto della stessa;
  • risulti saldamente vincolato al recipiente, in modo tale che la sua asportazione non sia possibile con un mero intervento manuale o che, comunque, la sua manomissione risulti facilmente rilevabile all’esame visivo del controllore o dell’utilizzatore.

In alternativa alla presenza del suddetto “tappo anti-rabbocco”, la medesima nota interministeriale ha, peraltro, espressamente ammesso il ricorso alle confezioni monodose, purché le stesse rimangano alterate dopo l’apertura.

Premesso ciò, va evidenziato che i requisiti illustrati in precedenza, come esplicitato dallo stesso articolo 7, comma 2 della legge 9/2013, si riferiscono esclusivamente alla presentazione degli oli di oliva nei “pubblici esercizi”.

Nessuna precisa definizione di “pubblico esercizio” è contenuta, tuttavia, nella citata norma, né in altre disposizioni del nostro ordinamento, dalle quali può ricavarsi soltanto che tale attività imprenditoriale includere gli “alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè o altri esercizi in cui si vendono al minuto o si consumano vino, birra, liquori od altre bevande anche non alcooliche … sale pubbliche per bigliardi o per altri giuochi leciti o stabilimenti di bagni, ovvero locali di stallaggio e simili” (così, l’articolo 86 del regio decreto 773/1931), nonché gli esercizi di “somministrazione al pubblico di alimenti e di bevande” (in tal senso, l’articolo 1 della legge 287/1991).

Ulteriori indicazioni utili possono, comunque, essere rinvenute nella giurisprudenza civile, penale ed amministrativa, che sino ad oggi ha sempre, univocamente, identificato l’attività di “pubblico esercizio” con la prestazione di servizi (in particolare, la somministrazione di alimenti e bevande) rivolta ad una “collettività indifferenziata” (Consiglio di Stato, sez. V, 20.10.2015, n. 4794), così distinguendosi dalle attività di somministrazione effettate nei confronti di soggetti “non indiscriminati, in quanto uniti da un rapporto variamente connotato, all’interno di locali privati (Cassazione civile, sez. I, 17.02.2006, n. 3550 e 21.09.1999 , n. 10201).

Di conseguenza, alcune pronunce giudiziali hanno avuto modo di chiarire come non possano considerarsi “pubblici esercizi” né i “circoli privati (Cassazione civile, sez. II, 13.12.2005, n. 27409), né – per quanto qui rileva – le “mense aziendali (Cassazione penale, sez. I, 21.04.1992), in quanto le relative prestazioni riguardano un numero determinato di persone, che possono fruirne a condizione che siano fornite dal requisito dell'appartenenza, per l’appunto, ad un determinato circolo o azienda.

Preso atto di tali chiarimenti giurisprudenziali, il gestore di una mensa aziendale – non essendo tale attività qualificabile come “pubblico esercizio” – non dovrebbe essere vincolato dagli obblighi di cui all’articolo 7, comma 2 della legge 9/2013, con conseguente possibilità, ad avviso di chi scrive, di presentare ai tavoli degli utenti anche bottiglie d'olio d‘oliva vergine ed extravergine “rabboccate”, purché, ovviamente, per il loro riempimento sia stata utilizzata una confezione di olio conforme ai requisiti normativi.

La medesima conclusione dovrebbe valere anche per le altre tipologie di oli vegetali, rispetto alle quali non è nota, allo scrivente, alcuna prescrizione normativa riguardante le modalità di presentazione del prodotto nell’ambito delle attività di somministrazione di alimenti e bevande.

 

[Articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 5/2023, Filo diretto con l'esperto]



NOTE:

[1] Nota del Ministero dello Sviluppo economico (oggi, Ministero delle Imprese e del made in Italy) e del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (oggi, Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste) del 15 dicembre 2014, avente per oggetto “Articolo 18 Legge 30 ottobre 2014 n. 161 ‘Disposizioni in materia di qualità e trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini’”.