Latte Uht, possibili alterazioni dovute alla temperatura di conservazione e relative responsabilità.

 

Quesito: Un supermercato ha ricevuto reclami da numerosi clienti per aver acquistato latte Uht dal sapore amaro e con piccole formazioni bianche all’interno della confezione. I prodotti provenivano da un centro di distribuzione che li ha stoccati a temperatura ambiente e li ha consegnati in veicoli non coibentati. Tutti facevano parte dello stesso pallet relativo ad una specifica consegna. Il difetto può essere attribuibile alle alte temperature – di, in media, 30 °C – registrate nel periodo in cui sono avvenuti i reclami? Il produttore, inoltre, indica sulla confezione “conservazione: si conserva a temperatura ambiente”; tale indicazione contempla anche temperature come quelle sopra riportate? Per evitare il fenomeno è possibile stoccare il prodotto nel centro di distribuzione in cella a +4 °C e così consegnarlo ai punti vendita oppure tale modalità sarebbe incompatibile con le indicazioni date dal produttore?

 

Risponde l'avvocato Stefano Senatore.

 

Il “latte UHT a lunga conservazione”, secondo la definizione riportata dall’articolo 6 della legge n. 169/1989, è il prodotto ricavato sottoponendo il latte ad un “trattamento termico di sterilizzazione in flusso continuo seguito dal confezionamento asettico che ne consente una conservazione prolungata nel tempo”.

I requisiti di tale trattamento termico (UHT, acronimo di Ultra High Temperature) sono invece precisati direttamente dalla normativa europea in materia di igiene alimentare e, in particolare, dall’allegato III, sezione IX, capitolo II, parte II, punto 1, lettera b) del regolamento (CE) 853/2004. Nello specifico, il trattamento deve essere tale da:

  1. comportare un flusso di calore continuo ad alta temperatura per un breve periodo (almeno 135 °C per un periodo di durata appropriata), che elimini microrganismi o spore vitali in grado di svilupparsi nel prodotto trattato, tenuto in un recipiente chiuso asettico a temperatura ambiente;
  2. assicurare la stabilità microbiologica dei prodotti dopo un periodo d'incubazione di 15 giorni a 30 °C, o di 7 giorni a 55 °C, in recipienti chiusi oppure dopo l'impiego di qualsiasi altro metodo che dimostri l'avvenuta applicazione del trattamento termico appropriato.

Il trattamento di bonifica UHT, unito al successivo confezionamento asettico, permette dunque di ottenere un latte che, salvo eventuali errori tecnologici o ri-contaminazioni, si mantiene stabile a temperatura ambiente sotto il profilo microbiologico.

Ciò nonostante, temperature di stoccaggio eccessivamente alte possono, comunque, determinare fenomeni di alterazione del latte sotto il profilo chimico-fisico, che potrebbero, eventualmente, anche raggiungere livelli tali da rendere il prodotto inadatto al consumo umano [1].

Al riguardo, la stessa Commissione del Codex Alimentarius, nell’ambito del Codice di prassi igieniche per il latte ed i prodotti lattiero-caseari, ha evidenziato la necessità di evitare, anche i prodotti stabili a temperatura ambiente (tra cui il latte UHT), un eccessivo riscaldamento durante il periodo di conservazione [2].

Nel caso in esame, non può pertanto escludersi che le alterazioni verificatesi nel latte siano riconducibili alle temperature cui lo stesso è stato sottoposto durante le fasi di conservazione e trasporto. Resta ferma, ovviamente, la necessità di un accertamento puntuale sulle cause specifiche, che potrebbero anche essere correlate a problemi nelle operazioni di bonifica termica o di confezionamento asettico, nonché alla non conformità dei materiali di imballaggio utilizzati.

Ove i difetti riscontrati nel latte fossero, effettivamente, riconducibili alle temperature alle quali è stato esposto il prodotto, la relativa responsabilità potrebbe, in ipotesi, coinvolgere sia l’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni ai consumatori (per brevità, anche “OSARI”) [3], sia gli ulteriori soggetti intervenuti successivamente nella filiera.

L’OSARI, in particolare – stando all’articolo 8 del regolamento (UE) 1169/2011 – è il soggetto al quale viene espressamente attribuita la responsabilità di definire la durabilità dell’alimento e le relative condizioni di conservazione, nonché di mettere tali informazioni a disposizione dei propri clienti professionali e del consumatore finale.

L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), nell’ambito delle linee guida elaborate per supportare gli operatori nella determinazione della shelf-life, ha inoltre precisato che le relative valutazioni dovrebbero prendere in considerazione anche le “condizioni ragionevolmente prevedibili alle quali i prodotti sono esposti nelle fasi di distribuzione, conservazione e utilizzo [4]. Nello stesso senso si è, inoltre, espressa la Commissione del Codex Alimentarius, nel già citato Codice di prassi igieniche per il latte ed i prodotti lattiero-caseari [5].

Va da sé che, preso atto delle generiche condizioni di conservazione indicate sul latte UHT oggetto del quesito (“si conserva a temperatura ambiente”), l’OSARI, ad avviso di chi scrive, dovrebbe essere chiamato a rispondere per tutte le alterazioni del prodotto che fossero derivate dagli innalzamenti della “temperatura ambiente” ragionevolmente prevedibili durante lo stoccaggio e la distribuzione, considerata anche la stagione estiva nella quale è avvenuta l’immissione in commercio.

Per altro verso, come anticipato, lo scrivente ritiene che anche gli operatori che hanno curato le fasi di immagazzinamento e distribuzione del latte possano essere, potenzialmente, chiamati rendere conto delle condizioni di temperatura alle quali hanno sottoposto il prodotto, quantomeno, laddove i difetti causati dalle stesse fossero prevedibili sulla base della diligenza attendibile da un professionista del settore.

Stando alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza in materia, difatti, ciascun operatore che intervenga nella filiera commerciale dovrebbe valutare, autonomamente, le modalità di conservazione dei prodotti nell’ambito delle attività di propria competenza, senza fare affidamento sulle informazioni riportate dall’OSARI in etichetta, che la Suprema Corte ha in passato qualificato come meri “consigli o indicazioni di massima” privi di valenza prescrittiva (cfr. Cassazione penale, sez. III, udienza 27.11.2018, deposito 07.01.2019, n. 348).

Nell’ambito delle suddette, autonome valutazioni, l’operatore che curi le attività di magazzinaggio e trasporto potrà eventualmente, come prospettato nel quesito, decidere di conservare il prodotto a temperature non superiori a 4 °C, laddove queste – sulla base dei dati a disposizione – non determino un aggravamento del rischio di alterazione.

 

[articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 1/2023, Filo diretto con l'esperto]



NOTE:

[1] In relazione ai difetti riscontrabili nel latte UHT si veda B. Cenci Goga – L. Grispoldi, Latte trattato termicamente, in B. Cenci Goga (a cura di), Ispezione e controllo degli alimenti, Milano, Point Vétérinaire Italie, 2018, pp. 791 ss.; un recente studio specificamente dedicato al rapporto tra temperatura di conservazione ed alterazioni del latte UHT è M. A. Karlsson, M. Langton, F. Innings, B. Malmgren, A. Hojer, M. Wikstrom, Å. Lundh, Changes in stability and shelf-life of ultra-high temperature treated milk during long term storage at different temperatures, in Heliyon, 2019, 5, https://doi.org/10.1016/j.heliyon.2019.e02431.

[2] Codex Alimentarius Commission, CAC/RCP 57-2004, Code of Hygienic practice for milk and milk products, 2nd edition, 2009, p. 38.

[3] L’articolo 8, paragrafo 1 del regolamento (UE) 1169/2011 identifica l’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti con l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, con l’importatore nel mercato dell’Unione.

[4] EFSA Panel on Biological Hazards, 2020, Guidance on date marking and related food information: part 1 (date marking), EFSA Journal 2020;18(12):6306, https://doi.org/10.2903/j.efsa.2020.6306.

[5] Codex Alimentarius Commission, CAC/RCP 57-2004, Code of Hygienic practice for milk and milk products, 2nd edition, 2009, p. 39.