Vendita di prodotti surgelati e "declassamento".

 

Quesito: L'articolo 7 del decreto legislativo 110/992 impone che i prodotti alimentari surgelati destinati al consumatore debbano essere venduti in confezioni originali chiuse dal fabbricante o dal confezionatore, ma molto spesso questo requisito è disatteso soprattutto nelle catene di vendita di alimenti 'congelati/surgelati ' sia di prodotti di origine animale che vegetale, che oramai sono molto diffuse su tutto il territorio. Non ho riscontro che dal 1992 ad oggi ci siano aggiornamenti normativi che permettano una diversa gestione del surgelato. Chiedo a voi conferma al riguardo poiché spesso si parla di 'declassamento' del prodotto surgelato a congelato da parte dell'Osa nell'esercizio di vendita. La cosa mi sembra molto discutibile.

 

Risponde l'avvocato Stefano Senatore.

 

La disciplina italiana in materia di prodotti alimentari surgelati, contenuta nel decreto legislativo n. 110/1992, si applica agli alimenti che soddisfano, cumulativamente, due condizioni previste dall’articolo 2 del testo normativo:

  1. deve trattarsi di alimenti sottoposti al processo di “surgelazione”, definito come uno speciale congelamento “che permette di superare con la rapidità necessaria, in funzione della natura del prodotto, la zona di cristallizzazione massima e di mantenere la temperatura del prodotto in tutti i suoi punti, dopo la stabilizzazione termica, ininterrottamente a valori pari o inferiori a -18 °C”;
  2. i prodotti, inoltre, devono essere commercializzati come “alimenti surgelati”.

Ne consegue che, ad avviso di chi scrive, per essere soggetto al decreto legislativo n. 110/1992 – e al relativo obbligo di vendita in confezioni originali, ove i prodotti siano destinati al consumatore – non è sufficiente che l’alimento abbia subìto una surgelazione, essendo anche necessario che il prodotto sia espressamente presentato alla vendita con la dicitura “surgelato”.

La suddetta normativa non dovrebbe, quindi, applicarsi ad un prodotto che, sottoposto a surgelazione, venisse però presentato al consumatore con la diversa dicitura di “congelato”.

Né l’utilizzo del termine “congelato” per designare un tale prodotto dovrebbe rappresentare una pratica ingannevole, considerando che il processo di surgelazione costituisce un particolare tipo di congelamento (e, precisamente, un congelamento rapido a -18 °C); con la conseguenza che i prodotti “surgelati” potrebbero rappresentare una sottospecie, migliore e più garantita, all’interno del più ampio genere dei “congelati”.

A parere dello scrivente, non vi sono quindi ragioni per non ammettere anche il cosiddetto “declassamento” del prodotto all’interno del punto vendita, realizzato rimuovendone la confezione originale con la dicitura “surgelato” e, all’esito, rivendendolo come prodotto non preimballato “congelato”. Fermo restando che ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4 del regolamento (UE) n. 1169/2011 “gli operatori del settore alimentare sono responsabili delle eventuali modifiche da essi apportate alle informazioni sugli alimenti che accompagnano il prodotto stesso”.

Si ritiene opportuno precisare, ad ogni modo, che a seguito dell’eventuale declassamento del prodotto – ossia, della sua messa in vendita come “congelato” non preimballato – sarà illegittima ogni pratica volta ad ingenerare confusione con gli alimenti “surgelati” di cui al decreto legislativo n. 110/1992. Il che potrebbe verificarsi, a titolo meramente esemplificativo, qualora i prodotti “congelati” venissero esposti mettendo in evidenza il nome dell’azienda produttrice e questo nome incorporasse, al suo interno, la parola “surgelati”.

 

[Articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 2/2021, Filo diretto con l'esperto, pp. 93-94]