Le normative nazionali sull’indicazione di origine: legittime, ma solo a certe condizioni.

 

Con la sentenza del 1 ottobre 2020, resa sulla causa C‑485/18, Groupe Lactalis, EU:C:2020:763, la Corte di Giustizia UE si pronuncia sulla legittimità delle norme nazionali che rendono obbligatoria l’indicazione dell’origine o della provenienza per categorie specifiche di alimenti.

Il caso nasce da una controversia tra le Autorità ministeriali francesi e la società Groupe Lactalis, che contestava il decreto n. 2016-1137 con il quale era stata imposta, nell’etichettatura dei prodotti d’Oltralpe, l’indicazione dell’origine del latte, nonché del latte utilizzato come ingrediente dei prodotti lattiero caseari.

Il Giudice europeo è stato quindi chiamato a chiarire se obblighi di questo tipo, introdotti da uno Stato membro UE, siano compatibili con il regolamento (UE) 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.

Come è facile immaginare, la decisione resa dalla Corte è destinata ad assumere grande rilievo, anche e soprattutto per l’Italia.

I principi elaborati dal Giudice UE con riferimento al caso francese hanno, infatti, portata generale. È quindi inevitabile che, in futuro, tale arresto giurisprudenziale venga preso come parametro per valutare anche la legittimità delle disposizioni sull’origine e provenienza adottate, negli ultimi anni, dal Governo italiano (1).

 

LA NORMATIVA

La decisione della Corte di Giustizia, come anticipato, si fonda sull’interpretazione del regolamento (UE) 1169/2011.

Ad assumere rilievo, in primo luogo, è l’articolo 9 del regolamento, in base al quale l’indicazione del Paese di origine o del luogo di provenienza rientra fra le informazioni obbligatorie sugli alimenti, nei casi in cui sia prescritta dal successivo articolo 26.

Quest’ultimo precisa, infatti, che tale indicazione deve essere obbligatoriamente riportata nell’etichettatura in due diverse ipotesi:

  • sempre, per le carni dei codici della nomenclatura combinata elencati all’allegato XI;
  • negli altri casi, qualora la sua omissione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento.

Per quanto riguarda, invece, la possibilità per i singoli Stati membri di adottare ulteriori norme nazionali per le informazioni sugli alimenti ai consumatori, occorre considerare quanto stabilito dall’articolo 38, il quale a tal fine distingue:

  1. le materie “espressamente armonizzate” dal regolamento, nelle quali gli Stati membri non possono adottare o mantenere disposizioni nazionali, salvo nei casi in cui siano autorizzati dal diritto UE;
  2. le materie non specificamente armonizzate, invece, nelle quali gli Stati membri possono adottare disposizioni nazionali, purché, da un lato, non vietino, ostacolino o limitino la libera circolazione delle merci e, dall’altro lato, rispettino quanto previsto dall’articolo 39.

Il seguente articolo 39, paragrafo 1 disciplina le disposizioni nazionali che richiedono ulteriori indicazioni obbligatorie (rispetto a quelle previste dal regolamento UE) per tipi o categorie specifici di alimenti, consentendo agli Stati membri di adottarle a condizione che esse siano giustificate da motivi attinenti:

  • alla protezione della salute pubblica,
  • alla protezione dei consumatori,
  • alla prevenzione delle frodi,
  • alla protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni d’origine controllata, ed alla repressione della concorrenza sleale.

Il successivo paragrafo 2 è dedicato, inoltre, alla specifica ipotesi in cui le disposizioni nazionali impongano l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza. Tali previsioni devono rispondere all’esigenza di protezione dei consumatori e sono ammesse solo alle seguenti ulteriori condizioni:

  1. deve esistere un nesso comprovato tra talune qualità degli alimenti di cui trattasi e la loro origine o provenienza,
  2. al momento di notificare tali disposizioni alla Commissione, gli Stati membri devono fornire elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.

 

LA DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

Il Giudice europeo chiarisce, innanzitutto, che l’indicazione dell’origine o della provenienza rientra tra le “materie espressamente armonizzate” – sulle quali gli Stati membri possono intervenire solo se autorizzati dal diritto UE – esclusivamente nei casi indicati dall’articolo 26, ossia, nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito all’origine o alla provenienza reali dell’alimento e nel caso di carni corrispondenti ai codici della nomenclatura ivi indicati (punto 28).

Al di fuori di tali ipotesi, quindi, il regolamento (UE) 1169/2011 non realizza un’armonizzazione espressa.

In secondo luogo, e di conseguenza, la Corte (punti 30-35) conferma la possibilità, per gli Stati membri, di introdurre disposizioni nazionali concernenti l’origine o la provenienza degli alimenti, purché ciò avvenga nel rispetto degli articoli 38 e 39 del regolamento.

Di conseguenza, la legittimità delle disposizioni nazionali che introducono nuove indicazioni obbligatorie sull’origine o provenienza è subordinata alla sussistenza di tutte le seguenti condizioni:

  1. le norme nazionali devono avere ad oggetto tipi o categorie specifiche di alimenti;
  2. devono riguardare ipotesi o situazioni diverse dal caso in cui l’omissione dell’indicazione di tale paese d’origine o di tale luogo di provenienza possa indurre in errore il consumatore;
  3. deve esistere un nesso comprovato tra talune qualità degli alimenti interessati dall’obbligo e la loro origine o provenienza;
  4. gli Stati membri devono fornire elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.

 

La sentenza ai punti 39-52, si sofferma inoltre sull’analisi delle ultime due condizioni di cui sopra (numeri 3 e 4).

A) Il nesso comprovato tra talune qualità dei prodotti alimentari interessati dalle norme nazionali e la loro origine o provenienza.

Tale requisito, secondo la Corte – e qui sta probabilmente la chiave di volta della sentenza in esame – deve essere verificato sul piano oggettivo e, pertanto, non può consistere in una associazione puramente soggettiva da parte dei consumatori.

In altri termini, al fine di dimostrare il “nesso comprovato”, è irrilevante il fatto che la maggior parte dei consumatori dello Stato membro tenda ad associare l’origine o provenienza di detti alimenti e talune loro qualità. È invece necessario che talune qualità possedute dall’alimento siano, effettivamente e concretamente, conseguenza della sua origine o provenienza.

Il Giudice aggiunge, infine, che il “nesso comprovato” deve riguardare le qualità dell’alimento collegate alla sua specifica origine (o provenienza), nel senso di qualità possedute solo dai prodotti aventi quella particolare origine e che, quindi, distinguono l’alimento dagli altri simili aventi origine diversa.

Di conseguenza, una disciplina nazionale sull’indicazione obbligatoria di origine non può essere legittimata, per il solo fatto che i prodotti aventi quella particolare origine possiedono la capacità di resistere al trasporto e ai rischi di alterazione nel corso del tragitto. Tale capacità difatti “non è collegata, in modo comprovato, a un’origine o a una provenienza precisa, che essa può dunque essere posseduta da alimenti simili non aventi tale origine o provenienza, e che di conseguenza essa può essere garantita indipendentemente dalla suddetta origine o provenienza” (punto 51).

B) Gli elementi a prova circa il fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.

Questo requisito va verificato, per la Corte, solo in un secondo tempo, nell’ipotesi in cui sia dimostrata l’esistenza di un tale nesso comprovato tra qualità e origine.

In particolare, dovrà accertarsi se lo Stato membro, al momento della notifica della disciplina nazionale alla Commissione europea, abbia fornito adeguati elementi a prova circa il fatto che l’informazione obbligatoria supplementare è dotata anche di un valore significativo agli occhi la maggioranza dei consumatori.

 

ALLEGATI:

 

 

NOTE:

(1) Vanno ricordati, in particolare, i seguenti decreti interministeriali:

  • decreto del 26 luglio 2017 e ss.mm., recante “Indicazione dell’origine in etichetta del riso”,
  • decreto del 26 luglio 2017 e ss.mm., recante ”Indicazione dell’origine in etichetta del grano duro per paste di semola di grano duro”,
  • decreto del 16 novembre 2017 e ss.mm., recante ”Indicazione dell’origine in etichetta del pomodoro”,
  • decreto del 9 dicembre 2016 e ss.mm., recante “origine del latte e dei suoi derivati”,
  • decreto del 6 agosto 2020 recante “indicazione obbligatoria del luogo di provenienza nell'etichetta delle carni suine trasformate”.