Acido lattico nella mozzarella: additivo o coadiuvante tecnologico?
Quesito: In base a quanto riportato nel regolamento (CE) 1333/08, l’acido lattico utilizzato nel processo di produzione della mozzarella per acidificare il latte, a cui viene aggiunto prima della coagulazione, ha la funzione di coadiuvante tecnologico?
Risponde l'avvocato Stefano Senatore.
Gli additivi alimentari, secondo la definizione stabilita dall’articolo 3, paragrafo 2, lettera a) del regolamento (UE) 1333/2008, sono le sostanze rispondenti ai seguenti requisiti:
- non sono abitualmente consumate come alimento in sé e non sono utilizzate come ingrediente caratteristico di alimenti;
- vengono aggiunte intenzionalmente ad alimenti per uno scopo tecnologico nella fabbricazione, nella trasformazione, nella preparazione, nel trattamento, nell’imballaggio, nel trasporto o nel magazzinaggio degli stessi;
- la loro aggiunta può, presumibilmente, avere per effetto che le stesse o i loro sottoprodotti diventano, direttamente o indirettamente, componenti degli alimenti.
Lo stesso regolamento, all’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), fornisce poi la definizione di “coadiuvanti tecnologici”, identificati con ogni sostanza che:
- non è consumata come un alimento in sé;
- è intenzionalmente utilizzata nella trasformazione di materie prime, alimenti o loro ingredienti, per esercitare una determinata funzione tecnologica nella lavorazione o nella trasformazione;
- può dar luogo alla presenza, non intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto finito, a condizione che questi residui non costituiscano un rischio per la salute e non abbiano effetti tecnologici sul prodotto finito.
Dai riferimenti normativi di cui sopra emerge, dunque, che i coadiuvanti tecnologici e gli additivi alimentari sono sostanze aventi in comune la caratteristica di non essere utilizzate, di per se stesse, come alimenti e di essere aggiunte ad un prodotto alimentare allo scopo di esercitare una particolare funzione tecnologica.
Il fondamentale elemento distintivo tra le due categorie di sostanze sta, invece, nel fatto che i coadiuvanti tecnologici – diversamente dagli additivi alimentari – non divengono parte integrante dell’alimento cui sono aggiunti, potendo dar luogo, tutt’al più, alla presenza di un residuo “non intenzionale ma tecnicamente inevitabile”, il quale non deve, comunque, esercitare più alcun effetto tecnologico sul prodotto finito.
Sulla base dei precedenti criteri, è possibile valutare l’acido lattico utilizzato con le modalità descritte nel quesito, ossia, aggiunto al latte, durante il processo produttivo della mozzarella, allo scopo di ridurne il pH (ed agevolare, così, sia la coagulazione, sia la successiva “filatura” del prodotto caseario).
Al riguardo, in primo luogo, è da ritenere che tale sostanza risponda ai due requisiti comuni sia ai coadiuvanti tecnologici che agli additivi alimentari, in quanto:
- per un verso, l’acido lattico non è normalmente consumato, tal quale, come alimento;
- per altro verso, la sua aggiunta al latte in lavorazione è finalizzata ad esercitare una funzione tecnologica, consistente nella riduzione del pH.
Pertanto, per qualificare l’acido lattico come “additivo” o come “coadiuvante”, l’aspetto dirimente da prendere in considerazione è rappresentato dal terzo requisito citato in precedenza, ovvero, dalle conseguenze del suo utilizzo nello specifico processo produttivo in esame.
In particolare, ad avviso di chi scrive, la sostanza dovrebbe potersi ricondurre alla categoria dei coadiuvanti tecnologici soltanto laddove la stessa, secondo quanto ci si può attendere all’esito dell’ordinario iter di fabbricazione, non sia più presente all’interno della mozzarella (prodotto finito), se non come mero residuo, eventuale, non volontario e, comunque, non più idoneo ad esercitare la funzione tecnologica di acidificazione.
Diversamente, lo scrivente è del parere che l’acido lattico sia da qualificare come “additivo”:
- sia nel caso in cui sia ancora interamente presente nella mozzarella risultante dal processo (in tale ipotesi, infatti, non dovrebbe potersi considerare come mero residuo involontario);
- sia qualora sia presente come residuo non intenzionale ma, ciò nonostante, abbia ancora l’effetto di determinare una riduzione del pH.
Tutto ciò, ovviamente, presuppone una specifica valutazione del caso concreto, la cui responsabilità ricade, inevitabilmente, in capo all’operatore.
[Articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 3/2024, Filo diretto con l'esperto]