La diffida nel settore alimentare: è possibile procrastinare i tempi di adempimento?
Quesito: La legge 71/2021 introduce l’istituto della diffida e prevede che l’autorità di controllo impartisca le prescrizioni da adempiere per risolvere la non conformità entro 30 giorni dalla data di notifica. È possibile che l’operatore del settore alimentare (Osa) richieda ed ottenga una proroga prima dello scadere dei 30 giorni, motivandola?
Risponde l'avvocato Stefan Senatore.
Nel campo alimentare, la “diffida” rappresenta un emblematico strumento di collaborazione tra operatori e Pubblica amministrazione per la riduzione del contenzioso amministrativo.
L’istituto, originariamente previsto solo per specifici ambiti settoriali, ha successivamente acquisito portata generale grazie alla disciplina introdotta dall’articolo 1, comma 3 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91. Quest’ultima, peraltro, è stata oggetto di diversi, significativi interventi di modifica: prima, con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116, poi con il decreto-legge del 16 luglio 2020, n. 76 e, infine, con la legge 21 maggio 2021, n. 71 (che ha convertito con modifiche il decreto-legge 22 marzo 2021, n. 42).
Il testo attualmente vigente, per quanto qui rileva, riguarda tutte le violazioni in materia agroalimentare e di sicurezza alimentare per le quali sia prevista una sanzione amministrativa pecuniaria, purché:
- si tratti di violazioni “sanabili”, ossia, di “errori e omissioni formali che comportano una mera operazione di regolarizzazione, ovvero violazioni le cui conseguenze dannose o pericolose sono eliminabili”;
- i prodotti non conformi non siano già stati “immessi in commercio”;
- la violazione sia accertata “per la prima volta”.
Sussistendo tutti i presupposti di cui sopra, la norma prevede che l’organo di controllo, a seguito dell’accertamento della violazione, proceda diffidando l’interessato ad adempiere alle prescrizioni violate entro i successivi trenta giorni e ad eliminare le conseguenze dannose e pericolose dell’illecito.
Qualora l’interessato provveda tempestivamente, la procedura sanzionatoria non avrà corso. In caso contrario, l'organo di controllo dovrà contestare la violazione ai sensi degli articoli 14 o 15 della legge 24 novembre 1981, n. 689, con conseguente avvio del procedimento sanzionatorio vero e proprio, nell’ambito del quale, tuttavia, sarà preclusa all’interessato la possibilità di estinguere l’illecito con un pagamento in misura ridotta ai sensi dell’articolo 16 della medesima legge.
Tanto premesso, si evidenzia come la disciplina della diffida non preveda alcuna discrezionalità nell’individuazione del termine entro cui dare esecuzione alle prescrizioni impartite, il quale è, invece, espressamente predeterminato per legge in “trenta giorni dalla data di notificazione dell’atto di diffida” (così, l’articolo 1, comma 3 già richiamato in precedenza).
Né si rinviene – tanto nel decreto-legge n. 91/2014, quanto nella disciplina generale del procedimento sanzionatorio di cui alla legge n. 689/1981 – il conferimento agli organi accertatori del potere di incidere sulla durata dei termini che scandiscono la procedura.
Il che induce lo scrivente ad escludere l’attribuzione, in capo all’organo di controllo, di un potere di scelta in merito alla durata del termine di adempimento e, di conseguenza, anche in merito all’eventuale proroga dello stesso.
Quanto sopra vale, tanto più, ove si consideri che una tale modifica discrezionale del termine non esaurirebbe i suoi effetti nell’ambito del procedimento incidentale di diffida ma condizionerebbe, al contempo, anche il successivo termine per la notifica della contestazione dell’illecito, anch’esso legislativamente predeterminato (dall’articolo 14 della legge n. 689/1981, in 90 o 360 giorni, a seconda che il destinatario risieda in Italia o all’estero). Quest’ultimo termine difatti, ai sensi dell’articolo 1, comma 3 del decreto-legge n. 91/2014, rimane sospeso per tutto il periodo in cui è pendente il termine per l’adempimento della diffida.
Fermo quanto sopra, una possibilità che potrebbe, in ipotesi, prospettare all’operatore “diffidato” sarebbe quella di invocare – anche in forza dei principi generali di buon andamento della Pubblica Amministrazione e di leale collaborazione – un’applicazione analogica delle regole sulla sospensione dei provvedimenti amministrativi, stabilite dall’articolo 21-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241 (in base alle quali “l'efficacia ovvero l'esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge”).
È doveroso chiarire, ad ogni modo, che una tale richiesta di sospensione del termine della diffida si esporrebbe ad almeno due criticità:
- per un verso, il fatto che il citato 21-quater riguarda la sospensione degli effetti dei “provvedimenti amministrativi”, qualifica che si è portati ad escludere in relazione alla diffida, che appare più corretto considerare come un mero “atto amministrativo”, collocato all’interno dell’iter procedimentale di applicazione delle sanzioni amministrative e non autonomamente impugnabile;
- per altro verso, la presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui la legge n. 241/1990 non sarebbe applicabile al procedimento sanzionatorio amministrativo, regolato esclusivamente dalla legge n. 689/1981, che costituisce un sistema di norme “organico e compiuto” (Cassazione civile, Sezioni Unite, 27 aprile 2006, n. 9591).
Va da sé che un eventuale tentativo di percorrere la strada da ultimo illustrata andrebbe, quanto meno, opportunamente supportato da un’attenta e puntuale motivazione della relativa istanza.
[Articolo pubblicato sulla rivista Alimenti&Bevande, n. 2/2024, Filo diretto con l'esperto]